Avventure nel Mondo

Sulle tracce dei Nabatei

da "Meraviglie d'Arabia" di Avventure nel Mondo
di RICCARDO PAGNANELLI, PAOLA BREGANT

Perché un viaggio in Arabia Saudita?

Per curiosità, perché è stimolante scoprire un paese “nuovo”, aperto al turismo da pochissimo tempo. Perché è un mondo completamente diverso dal nostro per usi, costumi, tradizioni, regole, cultura, rapporti umani. Perché è un paese costituito prevalentemente da deserti, ricchi di fascino e mistero. Perché è attraversatodalla via dell’incenso, percorsa dalle carovane che collegavano il Mediterraneo con l’Oman e lo Yemen; per i siti archeologici di grande interesse, che ricordano quelli più noti della Giordania.

Le poche informazioni disponibili sul paese descrivono una società chiusa, cristallizzata in un’altra epoca per la rigida osservanza delle regole del Corano. Ci aspettiamo un modo di vivere radicalmente diverso dal nostro. Il gruppo “La via dell’incenso-Hail” affronta un viaggio mai effettuato prima. Partiamo preparati a un’avventura che potrebbe non essere facile, nel quale gli imprevisti saranno inevitabili. Siamo in 7: Vanna, “storico” capogruppo di AnM, Andrea, Paola, Paolo, Riccardo, Rina e Saritha.

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I giorno – Jeddah

Atterriamo a Jeddah alle 3.15. L’ora antelucana faceva temere una lunga e noiosa attesa in aeroporto ma formalità doganali, cambi, acquisto delle SIM locali e soprattutto l’attivazione di Tawakkalna per tutti i membri del gruppo procedono con tale difficoltà, che siamo pronti a lasciare l’aeroporto verso le 8. Abbiamo avuto parecchio tempo per ammirare il bellissimo acquario con tante varietà di pesci e decine di squali, costruito di recente nell’ambito dellaristrutturazione radicale dell’aeroporto, eseguita sfruttando sapientemente il periodo di lockdown per il Covid. 

Tawakkalna merita una breve digressione: è l’app sviluppata in Arabia Saudita per controllare e mitigare la diffusione del Covid. E’ indispensabile per accedere a qualsiasi luogo pubblico (ristoranti, siti archeologici, musei, mezzi di trasporto). E’ scaricabile, ma non attivabile in Italia, funziona “magicamente” anche se non è presente una connessione Internet e.. talvolta va in tilt. Una partecipante, con tutta la documentazione in perfetta regola, è risultata persona soggetta a quarantena e non c’è stato modo di correggere l’errore. Per fortuna il buon senso dei sauditi ha prevalso e non ci sono stati problemi nel corso del viaggio.

Ma... torniamo a Jeddah. Dopo le formalità per il check-in in albergo, concluse non esattamente al volo, catturiamo finalmente un taxi e raggiungiamo la città vecchia (Al Balad). Le case in pietra corallina hanno caratteristici balconi in legno, che servivano alle donne per guardare in strada senza essere viste. Sono purtroppo in gran parte molto trascurate, quando non fatiscenti o addirittura mezze crollate, ma quelle ristrutturate sono bellissime.Sono stati avviati diversi cantieri; se riusciranno a intervenire in modo sapiente, il risultato potrà essere splendido. Giriamo comunque per i vicoli, in modo un po' casuale, catturando scorci caratteristici: i negozi che vendono incenso, il suk, una bella piazzetta alberata, il negozio di antichità, meravigliose porte in legno lavorato, il venditore che trasporta sulla testa una tavola di legno ricoperta di pezzi di pane, l’interno di una casa privata, Nassif House…

Nel pomeriggio ci spostiamo sulla Corniche, il chilometrico lungomare, moderno e intervallato da grattacieli, in gran parte in costruzione. Stanno anche predisponendo quanto necessario per il Gran Premio di Formula 1. Purtroppo, una delle maggiori attrattive del posto, La Moschea Galleggiante Al Rahma, non è raggiungibile perché ci sono lavori in corso (ci scontreremo con problemi analoghi più volte nel corso del viaggio).

In tutta la giornata, incrociamo due turisti di numero. Siamo decisamente noi un’attrattiva per gli abitanti del posto. Facciamo fatica a comunicare perché pochi parlano inglese, ma le persone si rivelano estremamente cordiali, sorridenti, scherzano e si fanno fotografare volentieri. Vale anche per le donne, che seppure coperte con il Niqab d’ordinanza (lungo abito nero e velo che copre tutto il viso eccetto gli occhi) non hanno un atteggiamento di chiusura. E’ la prima differenza che emerge rispetto alle aspettative. Non dovevamo essere guardati con diffidenza e sospetto? Forse è perché siamo a Jeddah, considerata la città più liberale e aperta di tutta l’Arabia Saudita.

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II giorno – Tabuk

Lasciamo Jeddah molto presto per raggiungere Tabuk, con un volo interno. Ci accolgono i nostri autisti, vestiti con l’abito tradizionale… e due jeep Toyota di ottimo livello.

E’ giunto il momento della prima escursione nel deserto, precisamente nell’Hisma Valley. Nota come il Wadi Rum dell’Arabia Saudita, ricorda molto l’aspetto del deserto giordano, che non è peraltro lontano. Formazioni rocciose modellate dal vento e dall’acqua, pinnacoli, sabbia rossa, carovane di cammelli in marcia, allevamenti di pecore. Lo spettacolo è magnifico. Dedichiamo alcune ore a vagare nella zona, con varie soste strategiche per fotografare.

Nel pomeriggio tentiamo la visita dei luoghi più rinomati di Tabuk: il castello e la vecchia stazione ferroviaria. Li troviamo entrambi chiusi. Finisce in modo inglorioso anche la ricerca di un ristorante. Non è una città imperdibile.

III giorno – Wadi Al Disha

Il panorama che si gode lungo la strada per Wadi Al Disha è davvero degno di nota. La catena montuosa che domina il paesaggio regala uno scenario che ricorda il Gran Canyon dell’Arizona. La nostra meta è una valle incastrata tra alte pareti rocciose, in fondo alla quale sorge un’oasi ricca di palme. 

Benché sia una delle mete turistiche più note della zona, siamo gli unici stranieri presenti. Nell’oasi, un gruppo di persone del posto celebra qualche ricorrenza. Chi di noi raggiunge la zona dove si svolgono i festeggiamenti è accolto con calorose manifestazioni di ospitalità. 

La zona è pattugliata da un paio di macchine della polizia. Una ci supera mentre ci teniamo per mano (comportamento segnalato come assolutamente inappropriato, proibitissimo in pubblico anche tra persone sposate); si blocca dopo qualche metro, ingrana la retromarcia e ci raggiunge. Ci aspettiamo rimproveri, multe e chissà quale altra punizione corporale…. con sorpresa scopriamo che sono tornati indietro per regalarci due bottigliette d’acqua fresca (attenzione molto apprezzata considerati il caldo e la lunga camminata intrapresa).

La tabella di marcia giornaliera prevede poi di raggiungere Al-Ula nel pomeriggio; sommati a quelli della mattina sono tanti chilometri, ma le strade sono ottime, le macchine veloci e il viaggio non è pesante. Gli autisti hanno il piedino pesante sull’acceleratore; spesso sfiorano i 180-190 km/ora. L’aspetto preoccupante è che non smettono mai di usare il cellulare. Come conseguenza di questa pessima abitudine, ci capita di finire un paio di volte oltre il bordo della strada, per fortuna senza conseguenze.

Ad Al-Ula siamo alloggiati in due grandi appartamenti adiacenti. Rispetto agli alberghi (tutti molto puliti, confortevoli e di livello decisamente buono) è una struttura dignitosa ma più semplice, meno turistica. Ci consente di capire come sono costruite le abitazioni locali. Colpisce l’abitudine a sprangare le finestre, dettata verosimilmente dalla necessità di proteggersi dal caldo. Per chi, come noi, ama le case luminose, risultano un po' opprimenti.

Quando ci rechiamo all’agenzia turistica che gestisce le escursioni ai vari siti archeologici ci aspetta una sorpresa: tra le addette a fornire informazioni e suggerimenti, ci sono un paio di ragazze che si distinguono per gli splendidi occhi azzurri e verdi. Una rarità; il colore tipico ė castano scurissimo. A uno sguardo più attento appare però evidente, con una certa delusione maschile, che utilizzano lenti a contatto dai colori vivacissimi e un po’ improbabili. 

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IV giorno – Hegra e Al-Ula

Nei dintorni di Al-Ula si trova una delle attrattive più attese del viaggio: la necropoli nabatea di Hegra, anche nota come Mada’in Saleh. E’ costituita da centinaia di tombe scavate nella roccia, che rivaleggiano in bellezza con quelle, sicuramente più note, del sito di Petra. 

La visita del sito archeologico è organizzata rigidamente. Non è assolutamente possibile accedervi in modo autonomo. E’ predisposto un trasporto obbligatorio dal Winter Park di Al-Ula ad Hegra, con pullman forniti dall’agenzia che gestisce l’organizzazione. Arrivati a destinazione, è prevista una sosta nel centro didattico dove si è accolti con thè, caffè e datteri. Dopo una breve spiegazione, si risale sul pullman, che porta i turisti vicino alle tombe. E’ consentito scendere in 4 punti diversi ma gli spostamenti sono rigidamente controllati, non si può uscire dai sentieri tracciati e il tempo a disposizione ad ogni sosta è predefinito e davvero limitato.

E’ una modalità organizzativa eccessivamente vincolante che ruba in parte il piacere della visita, fatta a passo di carica col cronometro in mano, senza la possibilità di godere con calma lo spettacolo. E’ una scelta dettata sia dal desiderio di preservare un sito, molto delicato, da comportamenti vandalici sia dalla necessità di gestire un flusso elevato di turisti (che però in questo periodo non ci sono).Per chi vorrebbe assaporare il fascino unico di questo posto magico, è un vero dispiacere.

Ritornati ad Al-Ula, saliamo fino a un belvedere che sovrasta la città: la vista dall’alto abbraccia tutta la vastità dell’oasi e del deserto roccioso che la circonda. Uno spettacolo che consigliamo di vedere (peccato per le tonnellate di plastica abbandonate in giro).

Ci facciamo poi lasciare nell’area della città vecchia. La zona più interessante, costituita dalle vecchie case in disuso, non è accessibile liberamente. Dobbiamo aspettare fino alle 5 del pomeriggio prima che inizi la visita guidata, perdendo almeno un paio d’ore a bighellonare nella strada principale, sulla quale si affacciano negozietti di souvenir non particolarmente memorabili.

La città abbandonata è costituita da case in fango che si stanno sgretolando e sono destinate, senza un costante lavoro di manutenzione, a scomparire nel tempo. È in atto una parziale ristrutturazione; il risultato degli interventi svela in modo efficace la struttura originaria delle abitazioni e il reticolo di stradine. Si sale anche sul piccolo castello che domina la città, ma arriviamo in cima quando sta calando il buio e si vede ormai poco chiaramente lo spettacolo ai nostri piedi. Il sorgere di una spettacolare luna piena scalda il cuore. 

Concludiamo la giornata con una piacevole cena all’aperto, nel cuore della città vecchia. All’arrivo del conto scoppiamo a ridere: le acque minerali Perrier che ci hanno servito, ci hanno fatto sforare il budget per la prima volta, erodendo più del dovuto la cassa comune.

Il rientro in albergo risulta problematico, per la difficoltà a trovare i taxi. Per fortuna, con la solita disponibilità delle persone saudite, il gestore del ristorante, dopo non pochi tentativi, riesce a contattarne un paio. Una delle cameriere, da sola, ci accompagna al punto di incontro. Il tassista, come successo anche in altre occasioni, chiede che al suo fianco sieda un uomo e non una donna. Un atteggiamento tradizionalista al quale eravamo preparati. 

V giorno – trekking nei dintorni di Al-Ula e Dadan

Avendo la mattinata a disposizione, sfruttiamo le proposte dell’agenzia locale “Husaak Adventures” che organizza trekking e attività sportive varie. Una piacevole escursione nella Hidden Valley ci regala l'unico incontro del viaggio con una ragazza vestita con pantaloni tecnici e maglietta con le maniche corte. E' la nostra giovane guida, che alle nostre domande stupite risponde spiegandoci che i ragazzi non seguono più le rigide regole per le quali il suo paese ė tanto famoso e che fa parte di una squadra di ciclismo.

Non ci neghiamo poi la possibilità effettuare il trekking Adventure Trail, che ci consente di ammirare una zona selvaggia, caratterizzata da stretti canyon rocciosi nei quali il sentiero si snoda tra altissime pareti verticali. Incorriamo in un piccolo intoppo, dai risvolti divertenti: il nostro fuori strada rimane insabbiato e devono mandare un’altra macchina a recuperarci.

I responsabili dell’agenzia sono ragazzi estremamente dinamici e intraprendenti, che si distinguono per l’approccio versatile e collaborativo. Lo notiamo perché in generale le persone sembrano essere in difficoltà a gestire richieste non previste. La receptionist dell’albergo non chiama un taxi senza l’autorizzazione del manager, l’orario della visita non si cambia anche se fa buio, perché il mese prima andava bene così …

Nel tardo pomeriggio inizia la visita al sito di Dadan. Lo vediamo al tramonto, con una luce splendida; i reperti archeologici sono costituiti da una ventina di tombe, la più famosa delle quali si chiama Tomba dei Leoni, osservabili però a grande distanza. 

L’ultima tappa della giornata è a Jabal Ikmah, dove si dovrebbero poter ammirare numerosi iscrizioni pre-arabe scolpite e in rilievo. La visita è imbarazzante, perché arriviamo che è praticamente buio, con la guida locale che cerca di farci vedere le incisioni da lontano con l’aiuto della luce del cellulare. 

Ceniamo in un ristorante tipico. Arrivati al parcheggio notiamo due entrate separate, una per gli uomini, l’altra per le famiglie. In realtà sembrano un retaggio storico, visto che entriamo tutti dalla prima e uomini e donne possono mangiare assieme senza problemi.

Una breve digressione sul cibo. Per tutti i pranzi e le colazioni abbiamo utilizzato gli alimenti acquistati nei supermercati, che si trovano facilmente sia nei paesi che lungo la strada. Non ci sono problemi a trovare quanto necessario per sopravvivere dignitosamente. A cena ci siamo generalmente concessi di mangiare in qualche ristorantino. Abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare pollo, cammello, montone, verdure e abbondantissime razioni di riso. Meglio dimenticare velocemente la birra o pseudo tale, rigorosamente analcolica.

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VI giorno – da Al-Ula a Hail

Prima di lasciare Al-Ula, ci intrufoliamo nella zona completamente abbandonata della città vecchia, dove non viene eseguito alcun intervento di manutenzione. Le case stanno crollando, tutto si sgretola al nostro passaggio, ma le abitazioni abbandonate meritano qualche fotografia. Ricordano, ancora per un pò, un passato che non ritornerà.

Concludiamo la visita della zona con una sosta all’Elephant Rock, una maestosa formazione rocciosa, alta più di 50 metri e circondata da miriadi di altre rocce dalle forme particolari. 

Dopo alcune ore di macchina, arriviamo nella città di Hail. Ci sarebbero da visitare l’A’arif Fort, che appare completamente rinnovato ma è chiuso a tempo indeterminato e il Barzan Palace, nel cuore della città vecchia, a sua volta inaccessibile (e spiace, perché sbirciando dalle fessure dei portoni d’ingresso, la struttura sembra molto interessante). Riusciamo solamente a salire su un’altura che domina la città. Lo spettacolo non è imperdibile; siamo invece oggetto di interesse da parte delle persone locali che vogliono farsi fotografare assieme a noi e ci pongono varie domande.

VII giorno – Jubbah

Non lontano da Hail si trova il sito archelogico di Jubbah (in realtà, è proprio per la sua fama che siamo qui). Risulta visitabile solamente dalle 14 in poi, per cui organizziamo una visita all’oasi, dove è stato creato il Nasser Al-Thuwaini Museum. Si tratta di un museo con varie sedi, nelle quali sono esposti i più svariati oggetti utilizzati nella vita quotidiana: dalle stoviglie alle armi, passando per le bardature per i cammelli. Si entra nelle varie stanze di una fattoria, dalla cucina alle camere da letto, ci mostrano come si raccoglieva l’acqua dal pozzo con l’aiuto dei cammelli e come si incanalava per coltivare palme da dattero e altre piante … è gradevole. Il ritmo della visita è molto rilassato. Il rito di offrire thè e caffè all’ospite con contorno di deliziosi datteri insaporiti nella crema e di frutta varia è profondamente radicato e sicuramente saremmo offensivi a rifiutare. Abituati ai ritmi incalzanti del nostro stile di vita, è difficile annullare del tutto la sensazione di perdere tempo per le tante soste dedicate a bere e mangiare, ma è giusto comprendere e adattarsi alle abitudini locali. 

Nel pomeriggio riusciamo ad accedere alla zona di Jibal Umm Sinman, dove le rocce sono ornate da migliaia di petroglifi risalenti anche a 10.000 anni fa. Si distinguono chiaramente riproduzioni di figure umane e animali vari: tantissimi cammelli, ma anche cavalli, gazzelle, struzzi e leoni, per citare i più facilmente riconoscibili, testimonianza del fatto che anticamente la regione era fertile. Due incisioni sono particolarmente famose: una rappresenta due figure umane, una delle quali più grande, in atteggiamento dominante; l’altra è un carrotrainato da due cavalli. La zona è inserita dall’UNESCO tra i patrimoni dell’umanità.

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VIII giorno – Hail - Riyadh

La giornata comincia con la visita della moschea Al-Rajhi. Stando alle informazioni disponibili le moschee sono spesso off-limits per i non mussulmani (che non possono neanche entrare alla Mecca). Noi donne poi, non siamo né velate né coperte con la palandrana nera che nasconde tutte le forme femminili. Siamo pertanto preparati ad essere respinti all’ingresso con ignominia. Quello che inaspettatamente succede è che ci viene incontro un uomo sorridente, che si affretta a offrirci bicchierini di thè e caffè! La costruzione in sé è moderna e non particolarmente bella, ma l’accoglienza è indimenticabile.

Dedichiamo un paio d’ore a gironzolare per il suk. La parte più interessante è la zona dedicata alla vendita dei datteri. Ce ne sono di tantissimi tipi e la cosa clamorosa è che tutto è pulitissimo, senza nugoli di mosche a ricoprire i dolcissimi frutti. Le persone sono sempre gentilissime: ci regalano datteri, bottigliette d’acqua, immancabili bicchieri di thè è caffè. Alla richiesta di aiuto per chiamare un taxi, un uomo si alza, ci carica tutti (7 persone!!) nella sua berlina e ci riaccompagna in albergo. In teoria uomini e donne non dovrebbero sfiorarsi, immaginatevi l’intreccio di corpi in quella macchina. Per fortuna nessuno ci ferma e arriviamo belli aggrovigliati in hotel, tra lo stupore divertito degli altri ospiti. 

Il viaggio verso Riyadh avviene in treno. La stazione ferroviaria è costruita a qualche chilometro dal centro (si raggiunge in 30 minuti di macchina) ed è organizzata come in un aeroporto: controlli all’accesso, drop-off e pesatura dei bagagli, necessità di presentarsi con largo anticipo. La cosa buffa è che il treno, moderno nell’aspetto, pulito e curato, viaggia poi alla velocità di una tradotta. Nei vagoni ci sono settori chiusi con una tenda, per consentire la riservatezza alle donne, molte delle quali viaggiano però da sole, in contraddizione con la presunta proibizione di uscire se non accompagnate da un uomo. 

Per arrivare alla capitale ci vogliono circa 5 ore di viaggio, durante il quale si attraversa un deserto piatto e monotono.

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IX giorno –Riyadh

In mattinata ci rechiamo a circa 100 km dalla capitale, dove si trova il famosissimo “Edge of the world”, un enorme costone roccioso alto 300 metri che si affaccia sul deserto. Erano le scogliere di un antico mare, ora arido deserto. Spiccano enormi faraglioni, sulla cui sommità i più arditi si fanno fotografare. Lo spettacolo è davvero superbo e merita il viaggio di un paio d’ore necessario a raggiungere la zona. Serve un fuoristrada e la strada nella parte finale è piuttosto brutta e pericolosa (ci sono morti 4 italiani proprio pochi giorni prima del nostro arrivo). Sembra che per ordine delle autorità locali la meta non sia al momento più raggiungibile. 

Abbiamo ancora un pomeriggio a disposizione. Optiamo per visitare Diraiyah, città d’origine della famiglia regnante dei Saudi. La scelta non è proprio vincente: tutta la zona è recintata, perché in fase di globale ristrutturazione e riusciamo a rubare qualche scorcio solo intrufolandoci nel cantiere. Al momento il poco che siamo riusciti a sbirciare rivela ancora un luogo di grande fascino. Le immagini che mostrano l’obiettivo finale del progetto di restauro fanno temere che il complesso verrà snaturato e trasformato in un orrendo centro commerciale.

Ci resta il tempo per un giro nel centro della capitale; riusciamo a entrare nel forte Masmak e a salire allo Sky Bridge del Kingdom Centre, purtroppo dopo il tramonto a causa del notevole ritardo con cui i nostri autisti si sono presentati all’appuntamento. Dalla cima del più famoso grattacielo di Riyadh si domina la città, con la sua scintillante caoticità.

CONCLUSIONI

E giunge il momento dei saluti. Il bilancio del viaggio è sicuramente positivo. Sono però fondamentali una buona capacità di adattamento e un atteggiamento molto proattivo, altrimenti il rischio di sprecare il poco tempo a disposizione in lunghi tempi morti è elevato. 

La macchina organizzativa del turismo locale è ancora molto perfettibile ed è illusorio aspettarsi che tutto fili liscio. 

Il nostro gruppo ha reagito in modo positivo, visto che tutti i partecipanti potevano vantare un buon curriculum come giramondo, che garantisce una certa attitudine a sapersela cavare anche in contesti complessi, imprevedibili e ignoti.

Uno degli aspetti più interessanti e sorprendenti è stata la scoperta di un paese completamente diverso dalle aspettative. L’Arabia Saudita è in una fase di transizione tumultuosa; sta maturando la consapevolezza che è inevitabile adeguarsi velocemente ai tempi moderni  e ai trend e alle nuove sfide che la green economy stanno imponendo. L’utilizzo di internet e dei social, soprattutto tra i giovani, e l’apertura al turismo segnano un punto di non ritorno nel cambio radicale della società saudita.  Le donne, di cui si vedono di regola solo le mani e gli occhi, quasi sempre sapientemente truccati e bellissimi, hanno ora la possibilità di lavorare, guidare la macchina, muoversi senza sorvegliante. Costituiscono addirittura la maggioranza dei laureati. Tutti fanno un uso direi quasi smodato del cellulare, ascoltano musica, godono di libertà impensabili fino a 5 anni fa. I cinema, stando alle informazioni raccolte prima del viaggio, erano banditi in Arabia; ora sono diffusi, soprattutto nelle grandi città. Un ragazzo, studente negli Stati Uniti, ci ha raccontato che, a partire dal 2016, a ogni rientro a casa per le vacanze estive scopre qualche macroscopica novità.

Il processo di cambiamento non è sicuramente concluso. Lo spirito imprenditoriale nei giovani, seppur con apprezzate eccezione, è limitato. Le domande su argomenti geografici, storici, politici, artistici e linguistici spesso non trovavano risposte, se non dopo l‘immancabile accesso a Google. La libertà concessa non è paragonabile a quella a cui noi siamo abituati. Senza dubbio però,  la società che viveva come nel VII secolo non esiste più e le persone, che temevamo ostili e giudicanti, hanno mostrato in generale un atteggiamento di generosa ospitalità, cortesia e tolleranza nei nostri confronti.