PETEN MAYA TREK Viaggio di gruppo • Trekking • Centro America
Un'impegnativa ma entusiasmante spedizione archeologica nella foresta del Peten, in Guatemala. Andremo alla ricerca di siti archeologici sconosciuti ripercorrendo le tracce e rivivendo le emozioni dei primi esploratori. Lunghe camminate, bus, auto 4x4 e in barca lungo il fiume Uxumacinta per la visita a Bonampak e Yaxchilan, bivaccando nella giungla circondati da una natura incontaminata.
Lorenzo SERAFINI - lorenzoserafini@yahoo.com
Paolo CIVERA - 0342 210984 civerapaolo@libero.it
Guatemala: Non occorre il visto. I partecipanti di nazionalità NON italiana dovranno documentarsi autonomamente circa i requisiti di ingresso richiesti presso la propria rappresentanza consolare e quella del paese di destinazione.
Per l'ingresso e l'uscita dal Guatemala compilare il modulo
Passaporto integro, almeno 2 pagine libere, validità residua di almeno 6 mesi dall’ingresso nel Paese.
Messico: non occorre il visto. È necessario avere un passaporto integro, con validità residua di almeno 6 mesi dall’ingresso nel Paese.
Stati Uniti: Nel caso in cui il piano voli preveda lo scalo in USA è necessario fare l'ESTA. Vedi le informazioni per l'ingresso negli Stati Uniti
Canada: nel caso in cui il piano voli preveda lo scalo in Canada è necessario fare l'ETA. Vedi le informazioni per l'ingresso in Canada
Guatemala: non ci sono vaccinazioni obbligatorie. È consigliata profilassi antimalarica.
Messico: non ci sono vaccinazioni obbligatorie. È consigliata profilassi antimalarica.
Il viaggio
Una lunga avventura alla ricerca dei mille volti dell’antica civiltà Maya: dalle celebri piramidi di Tikal al fascino misterioso di El Mirador, che raggiungeremo dopo un lungo trek nel cuore della jungla. E poi le rovine di Yaxchilan e gli affreschi di Bonampak, per finire con qualche giorno fra le mete più interessanti e pittoresche e dell’altopiano.
Questo viaggio fa per te se...
Il trek è supportato, con pasti e tende o amache fornite in loco e trasportate a dorso di mulo: si cammina quindi con il solo zaino da giornata. Il percorso è nel complesso breve e i dislivelli minimi, ma la tappa per El Mirador può risultare fisicamente impegnativa. La principale difficoltà è rappresentata dall’ambiente caldo e umido e dal terreno spesso fangoso, che richiedono adeguati equipaggiamento e preparazione, sia fisica che mentale.
Come prepararsi al viaggio
Il clima caldo e umido richiede alcuni accorgimenti particolari rispetto alla normale attrezzatura da trekking. Oltre al repellente antizanzare, sono essenziali buste impermeabili per mantenere asciutti sacco a pelo (o sacco lenzuolo) e almeno un cambio di abbigliamento.
Inutili gli scarponi da montagna a causa del fango e dell’umidità che penetra ovunque: meglio “scarpe da jungla” che lasciano uscire l’acqua o un paio di vecchi scarponi, idealmente senza goretex e a caviglia alta per proteggere da fango e punture di insetti. Il talco per i piedi è un altro piccolo trucco, fondamentale per tenere la pelle asciutta a fine giornata. Sono consigliabili –anche se non essenziali- i bastoncini da trek, che nei tratti fangosi evitano il rischio di appoggiarsi a tronchi e arbusti se si perde l’equilibrio, molti dei quali sono urticanti, coperti di spine o di insetti di dubbia amichevolezza.
Non serve una preparazione fisica particolare per completare il trek senza problemi: è comunque consigliato essere ben acclimatati e abituati all’esercizio fisico in condizioni di elevata temperatura e umidità.
Perchè scegliere questo viaggio?
"Scopo e cuore di questa vera e propria spedizione archeologica, nelle foreste e lungo i fiumi del Petén, è la misteriosa cultura Maya, ancora oggi materia di studio alla luce delle più recenti scoperte. Le testimonianze ricavate nelle foreste del Petén stanno facendo riscrivere la storia della civiltà Maya, anticipando di diversi secoli la datazione del loro apogeo, che fino a poco tempo fa era collocato esclusivamente nel periodo classico, ossia tra il III e il IX secolo dC. " (Lorenzo S.)
Alla sera le cene si consumano al campo e si dorme nelle amache legate agli alberi che possono essere anche comode. I campi sono sempre dei luoghi predisposti per i bivacchi, con capanne rudimentali provviste solo di telone e che servono per ripararsi e per cucinare e hanno generalmente un tavolo per mangiare. Le soddisfazioni sono comunque impagabili e compensano tutte le difficoltà, rendendo queste ultime parte dell’atmosfera surreale che si vive. Raramente di incontrano viaggiatori, più spesso i chicleros, che estraggono gomma da masticare dagli alberi della foresta (Ramonal è uno dei loro centri). Tutt’intorno la natura più assoluta, forte, intensa. Si cammina tra i rumori della giungla. Ci si sente quindi costantemente parte integrante di un sistema incredibilmente primordiale ed affascinante, unico. Si cammina con un senso di libertà respirando l’aria a pieni polmoni, si subisce il fascino dell’isolamento sentendosi parte di una spedizione e sentendo il fascino dell’avventura allo stato puro.


Arrivati alla cittadina di Flores partiamo subito per la nostra immersione nel mondo dei Maya, perdendoci fra le piramidi e i templi della magnifica Tikal. Completati i preparativi siamo pronti per la spedizione alle rovine di El Mirador: l’autobus per Carmelita arriva alle 5 del mattino, accecandoci tutti con una sproporzionata batteria di fari. È uno dei tanti scuolabus nordamericani che hanno trovato una seconda vita in America centrale: i locali li chiamano colectivos, i turisti “chicken bus” per la loro illimitata capacità di carico.
A Carmelita vivono trecento famiglie. Nel secolo scorso questo era il cuore dell’industria della gomma, la foresta era affollata da centinaia di chicleros e sulla pista del villaggio gli aerei si rincorrevano in una sequenza ininterrotta. Adesso le multinazionali se ne sono andate, la pista è vuota e del lavoro dei chicleros non restano che le cicatrici sui tronchi degli alberi. Gli abitanti del villaggio hanno formato una cooperativa, e un sistema di rotazione garantisce che a tutti tocchi una parte del lavoro e degli incassi del turismo: caricate le nostre cose sui muli, partiamo in mezzo al fango alla volta del campo di La Florida.
Caricate le nostre cose sui muli, partiamo in mezzo al fango alla volta del campo di La Florida. Un’altra breve tappa e siamo a El Tintal, circondata da un fossato ancora ricoperto di stucco che serviva come scarico, riserva d’acqua e ovviamente difesa contro le bellicose cittá vicine. Il sito è completamente sommerso dalla vegetazione; una larga area piatta è il campo per il gioco della palla, riusciamo appena a distinguere le gradinate di pietra fra le macerie ai due lati. La cima della piramide piú alta di El Tintal è libera dalla vegetazione, e per la prima volta vediamo la foresta dall’alto. Albero dopo albero, un mare verde senza fine si estende in tutte le direzioni. Sotto di noi due linee rette si intersecano nella foresta, leggermente rialzate come le cicatrici di una vecchia ferita. “Strada Maya”, dice la nostra guida: “la calzada. E’ larga 25 metri, lunga km e km, ma non si vede dal basso. È stata scoperta solo grazie a fotografie aeree. Questo tratto arriva fino a...” e indica un piccolo puntino blu all’orizzonte “...El Mirador”.
Un’altra breve tappa e siamo a El Tintal, circondata da un fossato ancora ricoperto di stucco che serviva come scarico, riserva d’acqua e ovviamente difesa contro le bellicose cittá vicine. Il sito è completamente sommerso dalla vegetazione; una larga area piatta è il campo per il gioco della palla, riusciamo appena a distinguere le gradinate di pietra fra le macerie ai due lati. La cima della piramide piú alta di El Tintal è libera dalla vegetazione, e per la prima volta vediamo la foresta dall’alto. Albero dopo albero, un mare verde senza fine si estende in tutte le direzioni. Sotto di noi due linee rette si intersecano nella foresta, leggermente rialzate come le cicatrici di una vecchia ferita. “Strada Maya”, dice la nostra guida: “la calzada. E’ larga 25 metri, lunga km e km, ma non si vede dal basso. È stata scoperta solo grazie a fotografie aeree. Questo tratto arriva fino a...” e indica un piccolo puntino blu all’orizzonte “...El Mirador”.
La nostra visita di El Mirador inizia davanti a una lastra di pietra intagliata in un intrico di glifi Maya. “K’ul kan ajaw”, legge la nostra guida: “il divino re serpente”. Siamo nel cuore del Regno del Serpente, di cui El Mirador è stata la capitale piú di duemila anni fa. Camminiamo fra edifici parzialmente rivelati dagli scavi ed enormi scale di pietra consumate da migliaia di passi e secoli di abbandono; raggiungiamo quella che sembra una fontana riccamente decorata di bassorilievi: è la storia dei gemelli mitologici, Hunahpu e Xbalanque, e del loro viaggio nel regno dei mortiper recuperare la testa del padre. Oltre la fontana, alla fine di un largo viale, la foresta si arrampica sopra una piattaforma rialzata larga svariate centinaia di metri. Un’enorme scalinata coperta di muschio sale sulla piú alta piramide del mondo Maya, affezionatamente soprannominata “La Danta” -il tapiro. Sediamo sulla sua cima come naufraghi in un oceano di verde. Uccelli variopinti volano e cantano sopra le cime degli alberi. Lontano, nella parte più buia della foresta, un giaguaro caccia la sua preda. Il sole tramonta sul Regno del Serpente.








